I nuovi occhiali smart di Facebook in collaborazione con Ray-Ban costituiscono un nuovo attacco alla tutela della privacy? O sono un ulteriore passo in avanti nella transizione digitale? Federica Morichetti di deAreté ne ha parlato con me in questo articolo
I Ray-Ban Stories erano in cantiere da un paio di anni. Il CEO di Facebook Mark Zuckerberg si è affidato a Rocco Basilico, chief wearables officer di EssilorLuxottica, per la creazione di un prodotto che unisce innovazione, stile e comfort e permette di scattare foto e girare video a mani libere, senza ricorrere allo smartphone. L’accessorio smart fa eco ai Google Glass e agli Spectacles di Snapchat, ma batte entrambi nell’estetica. Gli smart glass sono infatti offerti in tre iconici modelli, ovvero Wayfarer, Round e Meteor con un prezzo di partenza di 329 euro.
Un passo iniziale che, seppur ancora lontano dall’obbiettivo, rientra in un progetto a lungo termine, da tempo discusso in casa Facebook: portare nel mercato un prodotto che sfrutti la realtà aumentata. Per ora i Ray-Ban Stories sono semplicemente in grado di catturare immagini e riprodurre contenuti musicali grazie a due fotocamere da 5 megapixel, tre microfoni e una serie di micro-altoparlanti. I clienti potranno scattare fotografie, registrare video fino a 30 secondi (da cui il nome stories) riprodurre brani musicali ed interagire con l’assistente vocale di Facebook. I brevi video e le foto verranno poi trasferiti tramite Bluetooth all’interno di Facebook View: l’app dove l’utente potrà importare, modificare e condividere i contenuti sui propri account social.
Gli occhiali sembrano avere un futuro promettente, ma sollevano comunque vecchi dubbi relativi alla privacy. Le questioni vanno dalla tutela dei minori alla possibilità di attacchi hacker. In generale, la presenza sul mercato di uno strumento che permetta di riprendere altre persone senza ricorrere ad un gesto evidente, come quello di reggere uno smartphone, preoccupa i consumatori. Marco Santarelli, esperto del campo, ci ha aiutato a sfatare qualche dubbio e fare le dovute raccomandazioni.
I Ray-Ban stories hanno suscitato molte perplessità fra i consumatori preoccupati della propria sicurezza online, crede che tali preoccupazioni siano fondate?
Quando si parla di nuove tecnologie le preoccupazioni ci sono sempre, soprattutto in materia di sicurezza. Occhiali smart, come quelli creati da Ray-Ban, non sono, a pensarci bene, diversi dallo smartphone o dalla penna che, a pochi euro, ha anche la funzione di registratore vocale e video. Non è tanto lo strumento tecnologico preoccupante, quanto l’uso che se ne fa e, in questo caso, il fatto che si possano incrociare dei dati di Facebook o di qualsiasi altro social, individuare possibili vittime, pur non conoscendole, e invaderne la vita privata. Questo problema fa paio con il discorso della protezione dei dati: anche una semplice scansione all’ingresso di un servizio commerciale può essere usata a scopi di hackeraggio. Per cui è preoccupante l’utilizzo e l’interazione dei dati con le singole persone, piuttosto che lo sviluppo della tecnologia stessa.
Non dimentichiamo che, mentre ci preoccupiamo di un paio di occhiali connessi ad internet, in Cina sono ormai già alcuni anni che per accedere alla metropolitana basta utilizzare il riconoscimento facciale. Lo stesso sistema, collegato al proprio conto corrente bancario, è stato reso obbligatorio per l’abbonamento alla telefonia mobile.
Si sente spesso parlare di telecamere dei computer colpite da attacchi hacker al fine di rubare immagini private dei consumatori. Addirittura, sembra essere possibile farlo disattivando i led luminosi che segnalano l’attività di ripresa. Ricordiamo l’immagine che divenne virale nel 2016 in cui lo stesso Mark Zuckerberg era ritratto con un pezzo di adesivo sopra la webcam del proprio portatile. Crede che con le moderne tecnologie di protezione dati questo rischio sia ancora attuale?
L’hackeraggio attraverso la webcam del pc è ormai bypassato dai raggi infrarossi. Basti pensare che anche le camere di videosorveglianza sono capaci di hackerare un sistema, e da altre tecniche che a volte non hanno bisogno neanche di videocamere.
Un esempio che possiamo citare di questo tipo di attacco hacker è il video ricatto dopo aver subito una violazione diretta al proprio dispositivo: si tratta, come chiamato in gergo, del “Camfecting” o “Rat” ed il suo scopo è spiare una persona tramite la webcam di un qualsiasi dispositivo. Attraverso il Camfecting, la webcam viene attivata da un virus senza il consenso del proprietario della stessa. Il Rat, acronimo di “Trojan da accesso remoto” è proprio la tecnologia di malware e virus che permette la visualizzazione e la registrazione dell’immagine della vittima nella sua webcam e non solo, infatti questi malware riescono a registrare persino i tasti che vengono digitati sulla tastiera o anche i file salvati su disco rigido.
Quanto questi rischi possono riversarsi su un prodotto come i Ray-Ban stories? Vale la pena interrogarsi sui problemi etici di una tale tecnologia, soprattutto qualora diventasse parte integrante del nuovo modo di riprendere e fotografare il mondo che ci circonda?
Non credo valga molto la pena domandarsi dell’eticità delle nuove tecnologie, siamo i primi a dare in pasto i nostri dati a qualsiasi dispositivo, il più delle volte volontariamente, o attraverso i dati biometrici. Sicuramente è fondamentale dotare una nuova tecnologia di tutti i mezzi necessari affinché tuteli quanto possibile i nostri dati e la nostra privacy, poi sta a noi fare buon uso della tecnologia stessa.
Uno studio del Massachusetts Institute of Technology (MIT) mette in luce proprio questo binomio tecnologia-eticità; infatti, risulta che se il 30% delle grandi aziende USA sta adottando sempre più l’intelligenza artificiale nei proprio processi produttivi, dall’altra parte non sono tante quelle che hanno piena consapevolezza del suo uso etico.
Fonte: deAreté