Il 12 giugno a Parigi si è tenuto NetONets, il workshop internazionale Network of Networks che ha voluto mettere al centro nuovi sviluppi nel campo delle reti, da internet alla rete elettrica. E’ l’ ottavo anno che si tiene questa conferenza che vuole analizzare gli ultimi sviluppi delle reti, cercando di far luce sulle criticità. Diversi gli esperti che vi hanno partecipato. Ad inaugurare la giornata di studi è stato Gregorio D’Agostino per l’ENEA e Antonio Scala per il CNR che, come nelle edizioni precedenti, hanno organizzato l’evento insieme ad altri esperti internazionali a Marco Santarelli per ReS On Network. Con quest’ultimo, cerchiamo di fare il punto su quanto emerso nella giornata di approfondimenti, con uno sguardo al futuro.
Intanto Le chiederei di spiegarci cosa è accaduto a Parigi e cosa emerso da questo importante incontro.
Il 12 Giugno 2018 si è tenuta a Parigi l’ottava edizione di NetONets, il workshop internazionale su reti di reti e infrastrutture critiche che affronta il problema del rischio sistemico e della modellazione dei sistemi complessi che pervadono la nostra società. L’evento si è svolto in concomitanza di NetSCi 2018, la conferenza della Network Science Society che riunisce i principali ricercatori e professionisti operanti nell’area emergente della scienza delle reti.
Il prof. Gregorio D’Agostino dell’ ENEA, ha aperto ed autorevolmente presieduto il workshop ricco di una serie di presentazioni che costituiscono una sintesi degli spunti più interessanti e promettenti del settore. In particolare, si sono susseguite gli interventi di:
– Raissa D’Souza, presidente della Network Science Society e professore dell’Università della California – Davis, che ha parlato dei guasti a cascata e del ripristino e controllo di reti di reti.
– Irena Vodenska, Boston University, ha esposto come l’approccio di rete permetta di comprendere la fragilità dei sistemi finanziari.
– Osman Yagan, Carnegie Mellon University, ha analizzato come la ridistribuzione del carico in caso di rottura influenzi la robustezza delle reti di trasporto e di distribuzione rispetto al guasti a cascata
– Vinko Zlatic, Istituto Rudjer Boskovic, ha parlato di come si potrebbe aumentare la sicurezza delle reti di comunicazione implementando un modello di percolazione colorata.
– Yamir Moreno, presidente della Complex System Society e professore dell’Università di Saragozza, ha parlato di come la topologia di reti interconnesse guidi i processi di diffusione legati alle epidemie e possa caratterizzare l’insorgere delle pandemie.
– Guido Caldarelli, IMT Lucca, ha esposto come l’approccio delle reti complesse possa permettere di stimare la domanda di energia elettrica.
– Rebekka Burkholz, ETH Zurigo, ha presentato un modello analitico di attacchi a cascate.
– Ruiqi Li, Università Normale di Pechino, ha esposto il loro studio caratterizzante le regole di crescita spaziale delle città.
Provi a raccontarci nella maniera più semplice possibile la dipendenza del mondo di oggi dalle reti e spiegare quando parliamo di reti di reti e intelligence e sicurezza di cosa parliamo.
Il nostro compito è studiare la società come una rete di relazioni fra gli individui, oggetti e situazioni che ne fanno parte. Le interazioni fra questi attori modificano la stessa società e reciprocamente i loro comportamenti. Lo scopo principale delle nostre analisi è studiare i network che si creano. Individuare e analizzare i legami (link) tra gli individui (nodi) e situazioni (hub) da studiare. Per comprendere la società, la reciproca dipendenza tra persone e cose, prendiamo in considerazione i risultati delle reti che incrociamo con gli elementi che fanno parte della società. Ad esempio se si vuole prevenire un possibile attacco terroristico o studiare le tante possibilità su cui si possono concentrare alcuni eventi catastrofici, bisogna concentrarsi sui ruoli che determinate persone hanno, ad esempio, nell’area geografica di studio, sui raggruppamenti e sui suoi legami sociali. Da qui si ricerca la centralità di un’entità all’interno della rete, misurandone la posizione. Ovvero si trova la personalità più influente (o la causa scatenante per un evento) e si parte allargando il raggio dei suoi collegamenti controllando a loro volta tutti i collegamenti derivati. Se ad esempio studiamo gli attentati in Germania degli ultimi anni capiamo che il filo conduttore (ad esempio) è una cellula (un gruppo di persone) che nasce ad Amburgo e che per effetto della crisi economica ha allargato il suo ordine verso Colonia per trovare e reclutare persone con possibilità economiche più alte e generare più tecnologie innovative al prossimo attacco. Per studiare questo si identifica una rete con alto grado di connettività. Ovvero persone influenti che riescono ad organizzare meglio e più velocemente tutti i nodi a loro collegati. Ovviamente lo studio si concentra, come intelligence applicata, a persone (e cose) che hanno un numero elevato di link. Questo perché più è alto il numero dei link, più alta è la capacità di aggregazione e connettività del nodo e meno distanze ci saranno fra di loro all’interno del sistema. Quindi più disponibilità di fondi o più capacità di avvicinare qualsiasi obiettivo. Un esempio: pensate a quanta più possibilità di avvicinare obiettivi sensibili possa avere un individuo con più connessioni rispetto ad un altro? Ecco in questo contesto la parola sicurezza assume una forma più giustificabile all’interno di misure tecnologiche restrittive (più telecamere ad esempio negli ultimi anni) e diventa non un modo per adattarsi alla crisi che si manifesta ma una possibilità in più per la predittività e non la resilienza concetto di puro adattamento alle piaghe sociali e naturali.
E’ corretto ritenere che un mondo ‘dipendente’ dalle reti è un mondo terribilmente fragile? che le reti sono un elemento che ha aggravato la fragilità del mondo?
La domanda è molto interessante. Ad esempio se si pensa all’’ambito della cybersecurity la possibilità di esplorare le reti è diventata una dipendenza. Infatti oggi possiamo dire con estrema franchezza che non c’è sistema che abbia una rete fisica (perché la rete prima di tutto è fisica e fatta di cavi) che non può essere attaccato o bucato. I software cosiddetti malware trovano strada grazie alla conoscenza delle reti e della loro casualità. Ovvero grazie alla loro capacità di collegamento casuale a volte si scoprono dei bug che poi sono le “porte” per penetrante sistemi anche iper protetti con crittografia e altro. Penso a siti di ministeri o di agenzie militari. Vale a dire che “nella loro architettura, i grafi o le reti nascondono proprietà che possono limitare o favorire ciò che possiamo fare con loro” (Barabàsi).
Sul lato umano, a livello di reti sociali o di fisica applicata al sociale (vedi i social network o gli organigramma aziendali), per tanto tempo c’è stato un approccio alle reti attraverso la teoria della complessità. Vale a dire che “nella loro architettura, i grafi o le reti nascondono proprietà che possono limitare o favorire ciò che possiamo fare con loro” (Barabàsi, p. 14) in un mondo pieno di stimoli. Basti pensare ai big data.
La Teoria delle Reti Complesse ha completamente rivoluzionato negli ultimi 5 anni il modo di vedere e analizzare i più disparati fenomeni scientifici, sociali e tecnologici. Quasi ogni problema può trovare un’opportuna formalizzazione in termini di rete e utilizzando i potenti strumenti di indagine propri di questa teoria interdisciplinare, è oggi possibile trarre preziose informazioni dall’analisi dei sistemi nel loro complesso, superando il tradizionale approccio riduzionistico e parziale.
Grazie alla recente rivoluzione informatica, e alla conseguente crescita di Internet, si è prodotto un cambio di prospettiva culturale che ha reso possibile il riconoscimento di una struttura di rete in molti contesti apparentemente molto diversi tra loro: il WWW con tutti i suoi servizi collaborativi come i social. Ma secondo me sta cambiando qualcosa. Ovvero le reti studiate finora si possono chiamare “scale-free” e sono caratterizzate dalla presenza di alcuni soggetti, o link la cui eliminazione è in grado di causare anche l’interruzione del rapporto tra più realtà diverse. Il senso della rimozione di un individuo o di un evento di studio in una rete in questa direzione dipende largamente dagli indicatori quali “unicità”, “variabilità”, “sostituibilità” ed “equivalenza di ruolo” e “di altri nodi presenti nella rete”. Secondo questo principio, si apre quella che è la resilienza della rete, la sua capacità rigenerativa, utile sì per pianificare efficaci azioni di contrasto all’attività catastrofiche o terroristiche ma non utile e non più utile (secondo me) per il nostro tempo, anche secondo gli ultimi scenari di attentati “creativi”. Infatti la nuova frontiera per diventare predittiva deve accedere ad un’analisi del tipo di “Link Hub Direction” (direzione del collegamento per effetti macro) e “Nodi pesanti” (studio del peso del nodo in relazione ai collegamenti). Se non sappiamo, per esempio, che analizzando le direzioni del collegamento (dove, ad esempi,o andiamo a fare la spesa rispetto al lavoro che facciamo) non abbiamo dei risultati ottimali rispetto a chi può essere il mandante (Nodo pesante) di tutti i collegamenti per un attentato a quel supermercato. Pesando le relazioni fra le persone e le cose in tal modo si possono studiare i percorsi costruiti all’interno della rete e si ha la capacità di capire che, quando si rompono i collegamenti tra nodi pesanti o un link scompare, non si ha più l’effetto “collasso” e conseguente resilienza del sistema ma una riproduzione dell’effetto che possiamo studiare meglio.
L’Occidente è evidentemente in crisi -il futuro non sembra più abitare in Occidente. Quali le criticità in rapporto alla situazione di fragilità dei Paesi occidentali e in rapporto al venir meno dell’ equilibrio internazionale costruito dall’Occidente e che oramai è evidentemente saltato? Ed anche guardano alle reti, c’è da ritenere che il futuro appartenga all’Africa e all’Asia? Reti e politica, Reti e sistema di diritto internazionale: come stanno funzionando queste relazioni?
Come ho più volte detto in altre riviste ed articoli i dati parlano chiaro: la crescita dei consumi mondiali è sempre di più distribuita in quegli Stati che chiamiamo emergenti, ovvero Brasile, Russia, Sud Africa, India e Cina, quindi praticamente tutta l’Asia. È giunta l’ora di pensare che viviamo in un’epoca caratterizzata da una generalizzata difficoltà di approccio ai fenomeni nuovi e che sono difficilmente replicabili in paesi che faranno schizzare la domanda economica in generale. Se pensiamo agli attentati anche lì viene fuori sempre più l’importanza della sicurezza. Mentre lo sviluppo economico e l’interconnessione tra stati dovrebbero passare attraverso concetti veri come coesione e sviluppo democratico le strategie comuni si allontanano su temi scottanti come immigrazione e sicurezza. Ho la sensazione che il divario tra Occidente e altri paesi non sia solo da un punto di vista tecnologico ma soprattutto di approcci ai problemi dove la capacità pratica della Cina o dell’India controbatta una mera politica di slogan nell’Occidente. Anche la definizione degli Stati, se pensiamo per esempio a nuovi gasdotti nel Mar Caspio, ci sembra più labile. L’UE si pronuncia sempre più in funzione di tassi e spread e mai in termini di rafforzare la capacità aggregativa di dove si va ad intervenire con queste grandi opere. Lo stesso Putin ci ha sempre snobbato dicendo che non abbiamo interessi comuni. Infatti molti Paesi, tra cui l’Italia, per non essere schiacciati da ondate orientali, stanno cercando di allearsi con la Russia. Il problema dell’Occidente non sta solo nella gestione di menti diverse ma soprattutto nel non sapere più fare promesse e dare speranze. Pensiamo al sistema dell’istruzione. Pensiamo a quello italiano e a quello tedesco. O al sistema energetico. Insomma si sta remando contro vento e con una sola possibilità di essere più Occidente di ogni altra epoca. Tale possibilità si chiama, appunto, Rete. Dove c’è Rete ci dovrebbe essere condivisione e invece di combattere forme nuove di approvvigionamenti in Asia, ad esempio, o in Cina, vanno creati ponti di interesse in cui la possibilità di successo sia condivisa e non esclusiva. Gli Stati devono scegliere: o dare attenzione alle importazioni, con una collaborazione capillare ai cosiddetti “paesi di transito” (ultimo esempio le guerre in Iran e Iraq) o agire in maniera diretta e capire che il concetto di rendita, che riguarda la scarsità di un bene in circolazione o la forte domanda, debba assolutamente predisporsi all’interno di una salvaguardia dell’ambiente che sposi in pieno la politica energetica delle rinnovabili. Con questo vogliamo toccare l’ultimo tasto che permette di entrare meglio, per grado di incidenza, in questo problema. Non si tratta di fare delle dissertazioni geopolitiche, ma di capire come questa interessante possibilità (dal divario può nascere solo grande opportunità) attuale deve disporsi attraverso una nostra proposta/concetto: la contestualizzazione razionale della scienza che aiuta la politica e non viceversa.
Qui ci insegna il buon uso della rete, che ogni qualvolta si istituisce una relazione con un’altra cosa, che sia esso un oggetto o concetto, si deve tener presente che si instaura già un contatto. Tale contatto genera una mappa, una via di transito, una strada da cui partire e una meta a cui arrivare. Questa strada altro non è che appunto una rete complessa, a volte faticosa, ma anche molto affascinante. Appunto una rete in cui la possibilità di sfruttare la mappa per ritrovare il giusto territorio e arricchirlo della propria conoscenza diventa più importante che sfruttare la mappa per conquistare quel territorio. Ovvero lo scenario energetico si deve distinguere dallo scenario esclusivamente politico perché deve partire da una proposizione democratica e trasversale.
Il domani delle reti: ci potrebbe fare un quadro di cosa ci dobbiamo attendere? Da un punto di vista delle reti si sta andando verso un futuro interconnesso. Dove le reti devono iniziare ad autoproteggersi attraverso anche lo sviluppo dell’intelligenza artificiale. In Reti internet (e servizi connessi) si stanno facendo passi da gigante.
Si sta pensando a nuovi sistemi di comunicazione quantistici in cui la velocità della connessione si sposerà meglio e bene con una crittografia che, proprio rispondendo alla velocità di passaggio, sarà più sicura. Questo sta avvenendo tra Accademia Cinese delle Scienze, l’Università di Vienna e l’Accademia Austriaca delle Scienze. Dall’altra parte quando parliamo invece di reti, interdipendenze e reti sociali, secondo il mio punto di vista, abbiamo affidato troppo la nostra vita concreta, quotidiana, a quelli che chiamiamo social network. L’ultimo tassello di Cambridge Analytica ne è lo specchio. Ma non dobbiamo farci ingannare dalle apparenze. Siamo noi i primi a riempire la rete con le nostre faccende private. Così come dobbiamo sapere che prima ancora dello scandalo di Facebook ci sono state già le elezioni americane e ancor prima la gestione e la nascita di WhatsApp. Infatti stranamente questi motori di innovazione sociale, che nascono dal sogno americano del genio della bottega sotto casa, nonostante il problema di Cambridge Analytica, continuano a fatturare in maniera esponenziale. Dove il punto? Per proteggerci da una migliore gestione della nostra vita proprio attraverso il concetto di rete dobbiamo imparare a condividere dei contenuti che per loro natura non appartengono alla disciplina da cui stiamo partendo per fare ricerca. Serve un pensiero laterale che si confronta con le differenze, che metta in rete la scienza con altre discipline il cui elemento comune è la creatività. Elemento imprescindibile di crescita e protezione delle idee. Il futuro è, come dico spesso, sensibile. Proprio per questo motivo: da una parte dobbiamo sfruttare ancor meglio la nostra emotività nei confronti di atteggiamenti che reputiamo distanti ma che per loro natura sono molto vicini, dall’altro dobbiamo alzare tantissimo la guardia poiché la sensibilità è anche sinonimo di sottigliezza e quindi facile attacco ai nostri principi primi, e privati.
Il problema dei problemi: la sicurezza. Quanto siamo insicuri e come si sta lavorando per la crescita della sicurezza? Quali sono le minacce reali, ovvero da dove provengono, quali tipo di minacce corriamo?
Questo aspetto è veramente determinante. Infatti il confine labile in cui si muove la condizione umana oggi è proprio quello che passa da insicurezza a sicurezza in pochissimi secondi. Cosa vuol dire questo? Prima di tutto partiamo dal presupposto che il termine sicurezza oggi è cambiato completamente. Infatti nel momento in cui oggi si parla di sicurezza non si fa più riferimento solo a forze armate ma anche a cittadini che si uniscono, per esempio, per combattere in un determinato quartiere, con gruppi ad hoc o con app specifiche, gli effetti della criminalità. Questo vuol dire che non è cambiato il concetto di sicurezza rispetto al passato, è cambiato, dal 2001 in poi, la percezione che qualcosa ci potesse danneggiare in qualsiasi momento e che quel qualcosa può essere chiunque. Anche l’amico di banco delle superiori. Non c’è più un solo atteggiamento relativo al mondo orientale o arabo, ma c’è un atteggiamento di diffidenza, e quindi crescita della sicurezza, in tutti gli ambiti anche quelli più conosciuti. Pensiamo alla violenza sulle donne, sul lavoro, pensiamo ad atti di pedofilia, e criminalità organizzata. Pertanto nel momento in cui si genera sicurezza attraverso dei sistemi, allo stesso modo, si possono generare insicurezze.
Di conseguenza secondo il mio punto di vista il futuro della sicurezza è nell’interpretazione del pericolo e nella prevenzione. Infatti oggi a forza di creare e gestire on site la vulnerabilità dei sistemi, si rischia molte volte di creare delle paure o creare delle fragilità in posti dove assolutamente non ce n’è bisogno. Mi viene in mente il panico che si genera per esempio nelle metro per la calca, quello in una banca appena qualcuno mette le mani in tasca, o, quello dello zaino bomba ovunque etc etc. Questo vuol dire che bisogna lavorare sia da un punto di vista scientifico, appunto per prevenire problematiche serie, sia da un punto di vista culturale, fin dai primi banchi di scuola, per diffondere una gestione della sicurezza che sia apertamente schierata verso il bene e verso non il panico ma verso il sapersi risolvere in “N”situazioni.
Anche il sistema delle organizzazioni sovranazionali sta venendo meno, quanto questo è pericoloso per la sicurezza e per lo sviluppo delle reti?
Oggi, in realtà proprio per l’esplosione è la scoperta delle reti, si sta assistendo alla scomparsa di quello che prima chiamavamo unità sovranazionale. In realtà io oggi lo chiamerei più una perdita di Ideali a favore di una democrazia che poi in definitiva non c’è. Comunque continuo ad avere il fiato sospeso per gli accordi tra Trump e la nord Corea, contiamo a dipendere totalmente dagli idrocarburi in maniera quasi preoccupante, continuando ad avere un’idea di nazione o di unioni di nazioni semplicemente perché le unità che si dovrebbe occupare di queste cose, vedi la Nato, sono più impegnata nella lotta per la sicurezza dei singoli paesi. Va rivisto un po’ il modello e vanno create delle sotto entità a grappolo con la Nato a rispondere a questa urgenza.
Da L'INDRO